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MANN espone gli Encausti di Mats Bergquist

“Ashes to ashes. Encausti” è il titolo della mostra di Mats Bergquist che si inaugura domenica 25 settembre alle ore 12.00 al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, nell’ambito delle Giornate Europee del Patrimonio 2016 e resterà aperta al pubblico fino al 27 ottobre.

L’opera di Bergquist, artista svedese, riunisce in un unico percorso influenze nord europee con paesaggi, luoghi e immagini che appartengono alla storia di Napoli, pur venendo da così lontano. La tecnica antichissima utilizzata, l’encausto, suggerisce un dialogo a più voci con gli spazi del Museo:
“Con le sue pitture/sculture ‒ eseguite a encausto su legno, e molte volte su tavole destinate alla parete ‒ l’artista svedese dialoga, nell’atrio e in una sala al piano terra del Museo, con la memoria dell’antica tecnica dei pittori greci, con le monocrome campiture delle decorazioni a fresco pompeiane, con il marmo ormai bianco e le patine scure del bronzo delle statue romane.” (Marco De Gemmis)
 
La mostra, a cura di Elena Dal Molin e Marco De Gemmis, è promossa dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e da Atipografia, polo culturale dedicato all’arte nato nel novembre 2014 ad Arzignano in provincia di Vicenza, e rientra nel progetto che da oltre venti anni il Museo Archeologico Nazionale ha avviato per attivare un dialogo tra il suo patrimonio di antichità e i linguaggi artistici contemporanei.
 
“Encausti. Ashes to ashes” si presenta come un circuito a più punti, che parte dall’atrio del Museo con due opere “Via Lattea” e “Architrave”: un lungo pavimento di quadri bianchi che percorre la sala di ingresso, come per far camminare su un cielo bianco, comunica con una scultura che sorregge lo spazio aereo circostante. Nei giardini del Museo dialogano con le antichità le “Daruma”, strutture in ceramica raku, ovariche, eterne, come bombe vulcaniche, forgiate dal fuoco: un omaggio al celebre “uovo di Partenope” che contiene le sorti di tutta la città.
Una sala del Museo al piano terra ospita, inoltre, le “Venus”, quadri concavi che mimano delle pance incinte, quasi un richiamo alla Campania, terra felix, terra fertile per eccellenza che produce, in questo caso, arte. Ma il riferimento alla città di Napoli, non si esaurisce con questi segni e trova il suo completamento nell’opera “Votiv-skepp”, una struttura sospesa a forma di nave, lunga 250 cm, che contiene tre piccole montagne di cenere, riferimenti al mare e alla natura vulcanica della città.
 
Il legame con Partenope è forte anche per la principale tecnica utilizzata: l’encausto, sperimentata anche a Pompei. “La tecnica prevede l’uso di una tavola di legno pregiato, stagionato e tenuto da chiavi per controllarne il movimento nel tempo. La tavola è rivestita da una tela di lino finissimo intriso nella colla di coniglio, perché aderisca; è poi rifinita con più mani di gesso e perfettamente levigata. I pigmenti usati per dipingere sono mescolati a cera punica e sono mantenuti liquidi dentro un braciere. Questo procedimento aveva luogo perché l’immagine divenisse perpetua. Ma i fedeli che giungevano alle icone votive, pregandole le accarezzavano, rendendo le immagini nere, quasi monocrome. Le icone, le porte, le scale, perfino le ombre di Mats Bergquist, sanno questo passaggio e sono levigatissime, profonde e quasi monocrome”. (Elena Dal Molin)
 
Le opere di Bergquist realizzate in encausto protendono alla stessa eternità delle icone. L’opera d’arte, spogliata di qualsiasi segno, figura e spesso anche colore, spinge lo spettatore in una dimensione di concentrazione e meditazione, fino a diventare un’immagine ierofanica, in cui cioè si mostra il sacro.

“L’azione di Bergquist è dunque una continua inarrestabile ricerca di semplice per arrivare a una chiarezza rivelatrice mediante la serenità dell’immagine” (Bruno Corà)
Concetto di cui è intrisa tutta l’opera dell’artista che egli stesso condensa in questa affermazione: “Ogni quadro deve essere una preghiera”.  Anche le “Daruma”, che derivano dalle tradizionali bambole votive giapponesi, richiamano ad una dimensione contemplativa. Nell’opera di Mats Bergquist pittura e scultura si evocano per ricercare delle coordinate spazio-temporali incrinate, che altro non sono che una tensione verso una dimensione ulteriore.

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